Ciao Primo, secondo gli ultimi dati le esportazioni italiane continuano a crescere, soprattutto nei settori ad alta specializzazione come abbigliamento, macchinari, arredo e food. A tuo avviso quali sono le caratteristiche più apprezzate dei prodotti Made in Italy nel mondo?
I prodotti più apprezzati rispecchiano in larga parte le caratteristiche che gli stranieri riconoscono all’Italia e agli italiani. Il buon gusto, lo stile, la naturale eleganza, la cura dei dettagli, la passione che mettiamo nel nostro lavoro, l’attaccamento alla famiglia, il nostro “saper vivere”. Sono tutti elementi che ritroviamo nelle nostre eccellenze produttive. Nel 2008, una indagine Eurisko citava alcuni tratti distintivi della qualità italiana, come estetica, artigianalità, cultura, qualità sociale e relazionale, varietà. Questi valori sono ancora assolutamente validi. L’estetica è sicuramente uno dei più importanti. Il nostro design è riconoscibile in tutto il mondo, difficile da imitare. Così come la nostra artigianalità che riesce a unire tradizione e innovazione, creatività e abilità tecnica.
Di fronte a queste grandi opportunità, quali sono le maggiori problematiche che incontrano le aziende italiane, in particolare le medio-piccole?
Oggi la sfida per il nostro Paese è riuscire a trasferire i valori del Made in Italy dalle produzioni di nicchia a quelle di massa. Guardando alle piccole realtà, queste non riescono e, ancora peggio, non potranno raggiungere i mercati esteri perché per esportare servono investimenti economici che da soli è difficile ottenere. Per questo noi continuiamo a costituire delle piccole reti di imprese composte da 5/7 aziende non concorrenti tra loro ma complementari. Perché uniti si possono dividere gli investimenti, essere più competitivi, essere più performanti e costruire insieme un’immagine forte e determinata. Uniti si vince.
Guardando ai paesi al di fuori della Comunità Europea, i dati mostrano una forte ripresa del mercato statunitense, quali sono oggi altre zone ad alto potenziale?
Sicuramente la Cina che sta vivendo un boom economico che per volumi e durata non ha precedenti nella storia. Praticamente tutti i settori sono in grande sviluppo, ed è possibile che il prossimo Internet e il prossimo marketing nascano qui. Ma in tutta questa crescita il problema rimane quello di trovare il business che funzioni per noi, azienda italiana. Per entrare in questi mercati è necessario un attento monitoraggio dei clienti e dei consumi per capire esattamente come ritagliare la propria offerta.
Non è un target con un budget di spesa ancora troppo basso per le aziende italiane?
Nella parte costiera economicamente più avanzata è possibile distinguere tre classi sociali: l’upper class (reddito superiore a 1 milione di dollari/anno), middle class (reddito superiore a $8.000/anno) e lower class (meno di $5.000/anno ovvero meno di €300/mese). Se lasciamo perdere la classe più alta (una percentuale bassissima della popolazione) consumatrice di beni di lusso e quella più bassa che non ha (per ora) raggiunto la soglia detta “del consumo”, esiste un’emergente classe urbana con un tenore di vita paragonabile a quello del sud-europeo (come un cittadino greco o un portoghese, ma meno di un italiano).
Potrebbero essere dagli 80 ai 240 milioni di persone in continua crescita. Secondo le previsioni di McKinsey la popolazione “urbana povera” si assottiglierà dal 77,3% al 9,7% del 2025. Il resto sarà sostanzialmente middle class con capacità di spesa in aumento.
Sappiamo che sei molto affezionato all’Oriente. Ci puoi descrivere in poche parole il consumatore cinese?
Se dovessi descrivere i cinesi in sei parole direi che sono tanti (enorme mercato di sbocco per i nostri prodotti), lavorano tanto (per un europeo o un americano è davvero difficile competere con loro in “quantità” di ore dedicate al lavoro), sono “tecnologici” (la loro attitudine alle nuove tecnologie è superiore alla nostra), risparmiano tanto (in media il 40% del proprio reddito), sono “veloci” (è sorprendente la velocità con cui portano a termine progetti infrastrutturali ed edilizi) e sono “ottimisti” (il credo dei cinesi è fiduciosamente proiettato nel futuro e crede che le sue condizioni attuali miglioreranno). Il dato più significativo rimane comunque la quantità: da sola, la Cina è il mercato più grande del mondo, con oltre il doppio dei consumatori potenziali di tutto l’occidente messo assieme.
In questo momento ci stanno leggendo anche molti aspiranti export manager. Qual è secondo te la caratteristica fondamentale che un neolaureato deve avere per fare bene questo mestiere?
Alla base ci deve essere una forte attitudine alla vendita. Grinta, personalità, e la voglia, ovviamente, di arricchirsi facendo business.
Poi, serve preparazione. È vero che ci sono tanti aspiranti export manager ma questi giovani devono essere seguiti, indirizzati e guidati, e le aziende a volte non hanno molto tempo da dedicargli. Per questo è importante seguire dei corsi specifici, con poca teoria e molta pratica, che diano ai giovani la possibilità di mettersi davvero in gioco, di fare trattative vere con clienti veri in giro per il mondo. Perché il futuro del nostro Made in Italy dipende anche dalla qualità dei nostri export manager.
Questo è un lavoro che riesce a darti tanto. C’è lo spirito della scoperta, di viaggiare, conoscere nuove culture, nuove persone, usi e costumi. Oltre, naturalmente, all’emozione di chiudere affari importanti in tutto il mondo.