Comunicare e vendere in-store. Professione: Trade Marketing Manager

Data di pubblicazione: 12 Ott, 2016

Ciao Manuela, aiutaci a fare un po’ di chiarezza sul tuo ruolo. Per alcuni riguarda più che altro la pianificazione e il controllo della distribuzione dei prodotti attraverso i vari canali; per altri è sinonimo di pubblicità al trade e promozioni in store. Qual è la verità? Esistono differenze importanti in base all’azienda e al settore in cui si opera?

 

Partendo dal presupposto che una stessa funzione può cambiare radicalmente non solo a seconda del settore e dell’azienda ma anche dalla visione che ogni manager ha del proprio ruolo, direi che entrambe le definizioni sono vere. Per un responsabile Trade Marketing è fondamentale avere il controllo della distribuzione, intesa come visibilità numerica e qualitativa dei brand e dei prodotti all’interno dei punti vendita.

Per fare questo l’azienda mette a disposizione tutti i dati e le informazioni necessarie; il problema vero è la lettura che il responsabile dà a questi dati e come poi vengono utilizzati per prendere decisioni a supporto anche degli altri reparti, verso i quali il Trade Marketing può assumere un ruolo quasi di consulente interno.

Un’altra area fondamentale è rappresentata dalle attività promozionali in-store, che scaturiscono sia dalle analisi, ma anche dagli obiettivi aziendali e da quelli condivisi con il cliente/insegna. Un aspetto importante da sottolineare è l’approccio “shelf-back” che il Trade Marketing deve sempre avere, qualsiasi sia il settore o l’azienda: ascoltare il mercato e i clienti, visitare i punti vendita, osservare e studiare il consumatore/acquirente, leggere il contesto e la concorrenza. Per questo è fondamentale avvalersi del supporto di un team che lavori sul campo, oltre che avere un dialogo costante con ogni reparto aziendale.

 

Ci puoi raccontare la tua giornata tipo? È più un lavoro di analisi di dati e numeri o di telefonate, trasferte e incontri?

 

Direi che la parte di relazione e trasferte è preponderante, almeno nel nostro caso. Non c’è una giornata tipo. Ogni giorno cambia a seconda della stagione, di quanti e quali prodotti si hanno in fase di lancio, del numero di volantini e di cataloghi al trade da produrre. In BSH, il Trade Marketing ha anche la responsabilità del training prodotto: le persone dedicate a quest’area sono invece costantemente sul territorio. Per esempio, in questo periodo siamo impegnati in un roadshow in giro per l’Italia. Un grande impegno, sia organizzativo sia di presenza, ma anche tanta soddisfazione.

 

Nel tuo percorso lavorativo, in precedenza hai ricoperto i ruoli di responsabile vendite e responsabile comunicazione per brand importanti. Come ti stanno aiutando nel tuo ruolo di oggi?

 

Qualsiasi tipo di carriera si decida di intraprendere in un’azienda commerciale, consiglierei a tutti un’esperienza nelle vendite. Personalmente mi ha insegnato a lavorare per obiettivi ben definiti, a essere costantemente misurata, a non perdere il contatto con la realtà e con i bisogni del cliente.

Invece, l’esperienza come responsabile comunicazione mi ha lasciato la conoscenza dei mezzi, la capacità organizzativa e soprattutto la creatività come approccio generale alla risoluzione dei problemi. Oggi il Trade Marketing rappresenta per me la naturale fusione di questi due mondi: il punto vendita è esattamente il momento in cui comunicazione e vendite si incontrano.

 

Che impatto sta avendo la rivoluzione digitale nel lavoro di un Trade Marketing Manager? Per comunicare con i distributori, le relazioni umane rimangono fondamentali?

 

Le relazioni restano assolutamente fondamentali. Sono cambiate invece le modalità e i tempi con cui queste relazioni si attivano. Quello che più ha stravolto il mondo digitale è il concetto di punto vendita e il processo di acquisto. Un Trade Marketing moderno non può ad esempio non tenere monitorati gli shopping-on-line dei propri clienti e verificarne le congruenze con il punto vendita fisico. Anche in termini di training il mondo digitale ha cambiato tante cose: sempre più spesso facciamo sessioni di formazione in remoto; quest’anno poi abbiamo aperto una piattaforma di e-learning sviluppata più su video tutorial che su schede prodotto.

Anche in questo caso, però, la relazione non viene sacrificata, e insieme a queste sessioni vengono comunque organizzati corsi in pillole sul punto vendita, eventi training, fiere di settore o convention con clienti.

 

In BSH sei a capo di un reparto di Trade Marketing. Qual è la parte più difficile del tuo lavoro? E quella più stimolante?

 

È difficile tenere il passo con la molteplicità di attività che vengono portate avanti: come BSH siamo presenti sul mercato italiano con 4 marchi (Bosch, Siemens, Neff, Gaggenau), 3 settori (Libero Posizionamento, Incasso, Piccoli elettrodomestici) e diversi canali distributivi (dalla grande distribuzione al negozio di arredamento).

In questo vasto panorama, come Trade Marketing abbiamo i nostri focus ma a volte è comunque difficile tenere testa a tutto. D’altro canto, essendo il focus del Trade Marketing il punto vendita, non si finisce mai di imparare: il nostro lavoro è in continuo cambiamento, e la vera sfida è essere sempre in ascolto di questa evoluzione. L’anno scorso ad esempio ho seguito un Master in Digital Retail Innovation; quest’anno ne ho iniziato uno in Comunicazione Punto Vendita. A questi si aggiungono spesso altre giornate di formazione più personali (Change Management, Innovation Management). Dal mio punto di vista continuare a studiare è essenziale.

 

Quali sono i requisiti fondamentali che deve avere oggi un neolaureato per iniziare una carriera nel tuo settore? Che tipo di percorso consigli?

 

Da un punto di vista personale, chi intraprende una carriera nel Trade Marketing deve sicuramente essere predisposto all’ascolto, a cogliere e analizzare anche i segnali deboli, oltre che avere anche un approccio pragmatico al mondo. Come percorso di studi consiglierei come partenza una laurea in discipline economiche o marketing.

Un master potrebbe essere sicuramente un’ottima occasione di approfondimento. In alternativa, avendone le possibilità, l’ideale sarebbe integrare con la visita di punti vendita e format distributivi che in Italia non sono ancora arrivati (e forse mai arriveranno nelle stesse forme e modalità) ma che meritano di essere osservati: Stati Uniti, Cina, o anche più vicini, in UK e Spagna, solo per citare alcuni paesi.

A un neolaureato, nel caso non avesse fatto nessuna esperienza all’estero, consiglierei un periodo di “viaggio” indipendentemente dalla carriera che vorrà seguire: apre la mente e ci rende consapevoli dei nostri confini ma anche delle nostre forze culturali come italiani.

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